I taccuini di Tarrou – 434 – Tragico e sensualità

«Il senso del tragico cresce e diminuisce con la sensualità».

Se queste parole di Nietzsche sono vere, ho trovato finalmente la ragione dell’abissale profondità del mio sentimento del tragico. Ho sempre avuto una sensualità molto spiccata, sin da bambino (anche in questo, come in ogni altra cosa, sono stato precoce, andavo ancora alle scuole elementari e già osservavo le donne, soprattutto le maestre, come un adulto), acuita dall’impossibilità di viverla liberamente, con regolarità e disinteresse, ovvero senza dover ricorrere alla prostituzione. Il rapporto sessuale con una prostituta è il più insoddisfacente e inutile che esista, si esaurisce tutto nell’attimo effimero dell’orgasmo, superato il quale si precipita nel vuoto. Di questo rapporto non resta davvero nulla, se non un’amarezza acuta e una fame triplicata. Per un uomo condannato alla solitudine eppure incapace di reprimere la propria sensualità, ricorrere alla prostituzione è la cosa più stupida che si possa fare. E infatti la faccio regolarmente. Sarebbe molto più utile concentrare i propri sforzi sul tentativo di emanciparsi dagli istinti carnali. Ma è forse possibile? È forse possibile attendersi da un adolescente (perché nella mia sensualità inesausta a trentatré anni ho ancora il desiderio e l’ardore di un ragazzo) il raggiungimento di una sorta di ascesi sessuale?

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